Intervista a Maycol Errani, entrato a pieno titolo a far parte della grande famiglia Knie
marted́ 15 novembre 2016

In pista per la gioia del pubblico

L’acrobata e protagonista di numeri di dressage svela gioie e sacrifici del suo mestiere, che contempla una tournée lunga otto mesi su dodici. Da giovedì a domenica il tendone sarà a Lugano.

Il pubblico ha imparato a conoscerla negli anni e ora la considera parte della grande famiglia Knie. Non è un caso che le sia stato affidato il saluto finale dopo gli show. Come ci si sente a rappresentare una forte tradizione come lo è il Circo Knie?

Per me è un grande onore e un grande privilegio far parte di questa famiglia, vera istituzione del circo svizzero. Il nostro obiettivo è quello di fare sempre il massimo per il nostro pubblico. Nel prendere il microfono sul finale degli spettacoli, quando hai davanti duemila persone, può succedere che le mani comincino a tremare ed è sempre un’enorme emozione.

L’abbiamo conosciuta per i suoi eccezionali numeri acrobatici eseguiti con i suoi fratelli. Quanto costa in termini di tempo e condizione fisica questo tipo di esibizione? Ha mai rimpianti? Voglia di cambiare vita?

Assolutamente no. Come dico sempre a mio suocero, Fredy Knie junior, sarò sempre in debito con lui per avermi fatto conoscere un mondo meraviglioso di cui mi sono innamorato profondamente. Certo è un grande sacrificio, ancor più per me che sono acrobata e nel contempo lavoro anche con gli animali. Certo non posso dire che sia sempre facile, ma è l’amore che mi manda avanti e non mi fa sentire la stanchezza.

Nel programma presenta anche uno spettacolo di dressage dove dimostra chiaramente l’empatia che lei ha con i cavalli. Come risponde alle critiche degli animalisti?

Ciascuno può avere la propria opinione. Ma quando lavori su una pista con 28 cavalli, per chi conosce bene gli animali sa che se hanno paura di te scappano e che ti sarà dunque impossibile farli lavorare in armonia. Nessuno al Circo Knie opera violenze o soprusi sugli animali e lo dimostriamo nel nostro essere da sempre trasparenti. Effettuiamo le prove aperte al pubblico e nessuno dei componenti del Circo Knie si nasconde dietro a una porta chiusa.

Sua figlia, la piccola Chanel Marie, dimostra di seguire le sue orme e quelle di sua moglie Géraldine Knie. Ne è contento?

Chanel, la mia prima e per ora unica figlia, è una bambina difficile da... ammaestrare anche perché donna (sorride alla scherzosa battuta, ndr). Parlando seriamente vedo con piacere che per Chanel è tutto un gioco, ed è un bene che alla sua età sia così. Ama truccarsi come la mamma, entrare in pista, e per questo non ha mancato ancora una rappresentazione, ma la priorità per noi nei suoi confronti resta la scuola e l’educazione.

La vita nomade del circo è fatta di rinunce e grande spirito di adattamento. Cosa spinge un artista come lei a continuare su questa strada?

La stagione della tournée per il Circo Knie dura otto mesi, il resto dell’anno siamo in quella che noi chiamiamo la nostra casa, a Rapperswil, per preparare il successivo spettacolo con i nuovi numeri. Abbiamo, dunque, un po’ dell’uno e dell’altro: da primavera all’autunno passiamo di città in città, conosciamo gente nuova, montiamo e smontiamo, d’inverno ci fermiamo. E per questo siamo fortunati.

Cosa significa essere un Knie?

Uhi! Sono ormai dieci anni che sono con la famiglia Knie. Loro sono riusciti a costruirsi un nome in Svizzera perché prima di tutto quanto c’è il rispetto e l’amore per il pubblico. Prima di arrivare qui ho fatto altri circhi, in Germania, in Francia, in Italia, ma non ho mai trovato come con i Knie la volontà di esaudire i desideri del pubblico, di farlo felice, di divertirlo. Lo dimostra il fatto che il Circo Knie è seguito da un’ampia fascia d’età, dal bambino di tre anni alla persona anziana, e questo da diverse generazioni. È proprio qui che sta il segreto del suo successo.

da laregione