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Gli Acrobati Folli: una lezione che viene dal cielo PDF Stampa E-mail
domenica 30 giugno 2002
RUGGERO LEONARDI ha letto in anteprima il libro sui PALMIRI in uscita a giugno,  "GLI ACROBATI FOLLI".Il racconto di una vicenda umana e artistica di grande fascino, perché ancorata ad una realtà autentica, fatta di uomini che hanno trasformato i loro sogni in spettacolo.

 

Palmiri è per me, innanzitutto una grande occasione perduta. Quel giorno 4 agosto 1947 in cui Giovanni, appeso a un trapezio trasportato a 300 metri d'altezza da un biplano, volteggiò sopra la Madonnina del Duomo di Milano, io c'ero. Ma solo nel senso che avevo 11 anni e a Milano abitavo dalla nascita. Non ero in mezzo alla folla con gli occhi puntati verso l'alto a vivere l'evento. Ne ebbi notizia solo da uno zio, il quale mi parlò di un simpatico matto che era andato lassù a fare quelle cose sotto gli occhi di tanta gente che si chiedeva come fosse possibile farle. Ho cercato di prendermi una rivincita in seguito, acquistando vecchi settimanali con copertine che parlavano dei Palmiri, prendendo dimestichezza con la logica del rischio che alberga nel patrimonio culturale di ogni circense, e soprattutto ascoltando i ricordi di Renzo ed Egidio Palmiri. Ma il pensiero ancora mi brucia. Abitavo a due passi dall’evento e l’ho mancato. Ed ecco questo libro che viene a riaprire una antica ferita. Gli acrobati folli di Raffaele De Ritis, 130 pagine che sono testimonianza di un evento che non si potrà più ripetere, di un'Italia che non si potrà più ripetere, di un mondo del circo che non si potrà più ripetere. Nostalgia? Ma no, la nostalgia è uno stato d'animo che seleziona nel passato in maniera arbitraria, mettendo in un vaso di cristallo i ricordi "buoni" come se attorno non ce ne fossero tanti altri meno buoni. Il mondo di allora, di cui il circo costituiva uno dei simboli estremi, era una realtà che non dava scelte. O salti o muori. E c'era chi, come i Palmiri, saltava da grandi altezze e chi, come tanti, saltava i pasti. Eppure io vorrei, fortissimamente vorrei anche se so che il solo parlarne potrebbe farmi ridere addosso, che questo libro fosse diffuso nelle scuole e adottato come lettura educativa. Non perché sia più bello o meglio scritto di tanti altri ma perché è un libro vero, e dico vero senza virgolette. In mezzo a tanti libri imposti quasi d'autorità che pretendono di gabbare la nuova generazione con verità prefabbricate, eroismi prefabbricati, conclusioni prefabbricate, questo ha il merito di "fare storia senza tante storie". Di spiegare - come è detto con felice espressione nell'introduzione - "quella drammaturgia della suspence che fa del circo grande e spontaneo teatro" non alla maniera dei saggisti sempre pronti a compensare ciò che non sanno con molte parole ma alla maniera dei circensi che dicono ciò che sanno con parole contate. In particolare alla maniera di un circense dalla testa ai piedi come Egidio Palmiri che ha troppo rispetto per la propria storia per consentirle un aggettivo più del necessario. Credo di non urtare la suscettibilità di Raffaele De Ritis se dico che vedo costante, alle spalle dell'autore, la presenza di Egidio Palmiri, con la sua immensa documentazione, con i suoi ricordi minuziosi, con la sua impazienza dispotica nell'amministrarli (dispotismo, sì: conosco pochissimi uomini che, come lui, se ne siano guadagnato sul campo il diritto). Ecco dunque l'asciutta verità di un uomo che solo così sente di onorare la memoria di persone morte accanto a lui. Nomi, tournée in Italia e all'estero, spiegazioni tecniche. Io ve l''assicuro: hanno lacrime anche i Palmiri. Lo ho viste negli occhi di Renzo quando mi parlava del padre, le ho viste negli occhi del duro presidente dell'Ente Nazionale Circhi mentre mi parlava del fratello. Ma qui, no. Il dolore è una cosa che si consuma in privato. In questa storia dei Palmiri, mai neppure per un istante in ambigua continuità con il romanzo benché sovente le realtà narrata paia realtà romanzesca, chi muore viene seppellito con lacrime taciute e chi sopravvive esce dall'ospedale più in fretta di quanto i medici impongano perché c'è sempre un autocarro da guidare, un problema da risolvere, un marchingegno da tirare a lucido. Ecco, gli attrezzi. E' su quelle pagine che io amerei sbattere la testa di scolari imbottiti di merendine alla crema e di sciocchezze televisive. Nell'anima di acciaio che Giovanni cercava con lavoro maniacale di adattare al bambù che avrebbe reso celebre la Troupe Palmiri in tutto il mondo era messa in gioco l'anima di un uomo nato in tempi grami e pronto con tutte le proprie forze, di corpo e di creatività, a rovesciare la sorte a proprio favore. Nessuno ha nostalgia per la fame dei tempi passati. Ma chi nasce oggi deve sapere che è storia dei suoi padri e nonni e bisnonni, e non di Roma antica. Ma la lettura del "tormento ed estasi" che sta nella creazione di questi attrezzi è occasione anche per chi crede di non averne bisogno per leggere la grammatica del circo. "Drammaturgia della suspence", si diceva. Quante volte accade che, anche chi avrebbe occhi per vedere e penna per scriverne, descriva quelle del circo come prove di puro coraggio, esaltando il rischio ben più della elaborazione drammaturgica che vi sta dietro. Quante volte accade - purtroppo con la complicità degli stessi circensi - che tutto sia ridotto a realtà ginnica buona per essere gonfiata e sbattuta sotto qualche titolo di giornale. Eppure, anche in questo libro dove la sfida ai limiti fisici dell'uomo fa da lastricato a tutta la vicenda, le cose si dicono ben chiare. In mezzo a tante esibizioni da brivido con incidenti a volte mortali, è pur sempre trionfo di Icaro che si rode alla ricerca di un paio d'ali, dell'uomo che butta via notti e pensieri perché i suoi sogni diventino spettacolo. E a quel punto estremo di ricerca, di estenuazione, di felicità quando il traguardo è prossimo, restano alle spalle anche i discorsi sulla necessità e sulla fame. Esiste solo l'uomo che crea, magari a grande altezza, magari con strani oggetti, per fare di se stesso strumento di reinvenzione. Grazie a questi "acrobati folli", a quelli scomparsi e a quelli che li ricordano, che possono tentare oggi un'ultima temeraria impresa. Aiutare la gente del Duemila, distratta da troppi eroismi fasulli, a capire quale cosa tremendamente seria sia il circo.  di Ruggero Leonardi  

da ”Circo”, Giugno 2002

 
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