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Elefanti, splendidi artisti PDF Stampa E-mail
venerdì 31 maggio 2002
Marco Martini ricostruisce, con cronache d’epoca, il successo delle esibizioni dei pachidermi a Roma tra ‘800 e ‘900. E l’importanza avuta dagli addestratori circensi nel rendere famigliare questi animali

 

Il primo elefante ammaestrato comparso nella città eterna, quello inviato da Emanuele I Re di Portogallo a Papa Leone X de' Medici nel 1514, si chiamava Annone e divenne, a quanto ci tramandano i cronisti dell'epoca, il beniamino di tutta Roma. Il segreto di tale successo dovette probabilmente risiedere nel prolungato periodo di permanenza in città del pachiderma, Partecipò a varie feste, ed anche al torneo tenutosi nei giardini vaticani in Belvedere nel 1521. Fino al 1882 incluso, cioè per oltre tre secoli e mezzo da quella data, a Roma si videro solo l'elefantessa della celeberrima madame Saqui (1841), forse quella di Charles (1858) e un pachiderma al seguito del circo Guillaume (1864). Dell'elefantessa di madame Saqui, che si chiamava Babà come molti altri elefanti dell'epoca, ci sono stati tramandati sia l'enorme successo riscosso che gli esercizi eseguiti: piantava chiodi tenendo il martello con la proboscide; suonava la tromba, il flauto, il concertino ed anche l'organo a manovella; marciava su una corda sospesa all'altezza di due piedi come una funambola; prendeva un moschetto e sparava alcuni colpi; ritirava una moneta da un catino pieno d'acqua; mangiava a tavola apparecchiata e beveva una bottiglia di vino. Tuttavia pochissimi dovevano essere i romani che avevano una effettiva dimestichezza con il più grande degli animali terrestri quando, il 22 marzo 1883, il circo dell'italo-rumeno Teodoro Sidoli approdò nella capitale. I suoi due elefanti africani furono appositamente condotti come per una passerella d'onore dalla stazione Termini fino all'Umberto I, tra ali di curiosi festanti e per un mese - tanto sostò la compagnia - gli elefanti ammaestrati furono "la delizia e l'ammirazione dei frequentanti l'anfiteatro Umberto I" (Il Popolo Romano 29/3/1883). Da quel momento la presenza di queste enormi bestie al seguito dei circhi cessò di essere evento raro, benché non si possa affermare che divenne consueto. Per due mesi a partire dalla metà di novembre 1885, la compagnia equestre Roussiére-Vitali presentò addirittura numeri con sei elefanti africani: "I sei elefanti sonò un prodigio di agilità e di istruzione. Essi eseguono le loro manovre con la decisione di soldati provetti, senza che il domatore abbia mai bisogno di adoperare il bastone. Basta la semplice parola. Dopo una serie di esercizi, i sei elefanti eseguono un pezzo musicale. Uno gira con la proboscide un organetto, un altro suona un tamburello, un terzo suona le campane, un quarto suona la grancassa ed un quinto i piatti. Tutto ciò senza mai sbagliare di tempo. Le brave bestie hanno davanti a loro il relativo spartito musicale di cui voltano le pagine quando sono arrivati al fondo" (La Capitale 23/12/1885). Di una identica straordinaria performance musicistica parla anche il Cervellati, attribuendola alla bravura di miss Elise ed al suo unico elefante mammut, che in Italia l'avrebbe fatta eseguire "verso il 1890". Purtroppo i giornali romani non riportano il nome dell'addestratore o addestratrice dei sei elefanti citati. Nel giugno 1886 il circo di Francesco Corradini presentò l'elefante Jockshi, "al quale non manca che la parola" (La Capitale 16/6/1886), un animale con qualità da mimo che guadagnò addirittura la prima pagina del quotidiano La Capitale. Un anno dopo, da metà maggio a metà luglio, il circo Amato ottenne identico grande successo con l'elefante Bosco, ammaestrato da Teodoro Opitz. Bosco tornò ancora a Roma, sempre con il circo Amato, nel maggio 1890, e stavolta le sue esibizioni si avvalsero dell'aiuto di un compagno della stessa stazza, di nome Baker o Baher. Contemporaneamente alla Farnesina, in un padiglione allestito dal già citato Vitali, un elefante indiano intratteneva e divertiva i presenti divorando ciambelle ed arance. Il circo Amato presentò un'ultima volta Bosco nel 1891, per un periodo molto lungo (dal 20 agosto al I° novembre), poi si poté ammirare un altro di questi pachidermi nel serraglio di Giuseppe Kludsky dal dicembre 1891 al febbraio 1892 incluso. Ormai l'elefante, da inarrivabile gigante della savana, stava diventando figura familiare. Ciò che i resoconti di questa epoca evidenziano è che i cronisti rimanevano colpiti non dal bestione in sé, evidentemente già abbastanza conosciuto grazie forse a libri e riviste ed ai loro illustratori, ma dagli esercizi che compiva, dal comportamento che sfoggiava. In altre parole: dal suo splendido rapporto con l'artista. La simpatia che l'elefante si è conquistata nell'immaginario collettivo - allora non esistevano zoo (a Roma fu inaugurato nel 1910, anche se già negli anni Novanta erano stati approntati un paio di "giardini di acclimatazione"), cinema o televisione - sembra dunque storicamente legata ad un non certo trascurabile contributo degli ammaestratori circensi. di Marco Martini 

da “Circo”, Maggio 2002

 
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